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Bari, Teatro Petruzzelli: Manon Lescaut

Bari, Teatro Petruzzelli Manon Lescaut - ph Clarissa Lapolla - recensione di Opera Mundus
Bari, Teatro Petruzzelli Manon Lescaut - ph Clarissa Lapolla - recensione di Opera Mundus

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Il Massimo barese prosegue la stagione con Manon Lescaut, terza opera del genio lucchese e tratta dal romanzo settecentesco dell’abate Antoine Francois Prevost, Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut. Il soggetto dall’irresistibile fascino aveva già attratto altri compositori. Degne di nota infatti sono la Manon Lescaut di Daniel Auber e quella di Jules Massenet, quest’ultima traboccante di dolcezza e romantica passione. Nonostante il successo dei suoi colleghi, Puccini, incurante delle esortazioni a non intraprendere la composizione dell’opera, diede vita a quel capolavoro che lo consacrò al successo. Il libretto vide una difficile gestazione, in molti furono i nomi chiamati a collaborare, tra cui Ruggero Leoncavallo e Luigi Illica. Manon Lescaut andò in scena al Teatro Regio di Torino il primo febbraio 1893. Parlare della veste musicale di quest’opera porta a riflettere su due cifre stilistiche caratterizzanti la drammaturgia pucciniana: il sinfonismo e il presunto wagnerismo, dato dall’uso leitmotivico di temi principali come quello di Manon, ricorrente dal suo ingresso fino all’atto quarto, ormai gridato, disperato, privo di ogni seduzione e voluttà e che accompagna l’inquieta e viziata Manon alla morte.
L’allestimento scenico è quello del festival Puccini di Torre del Lago, in coproduzione con Fondazione Teatro Regio di Parma, Teatro Nazionale dell’Opera di Bucarest e Fondazione Teatro Petruzzelli e porta la firma di Massimo Gasparon per la regia, le scene, il disegno luci e i costumi.
Sul fronte musicale la serata mostra luci e ombre. Sul podio il maestro Francesco Cilluffo. Egli offre un’accurata esecuzione della partitura pucciniana adornata di eleganza nella breve introduzione, nell’incipit dell’atto secondo e nella vaporosa lezione di musica, fremente di passione nel duetto dell’atto secondo tra Manon e Des Grieux, dolente nell’intermezzo e drammaticamente struggente nel quarto. La concertazione è molto buona, la lettura di ogni dinamica consapevole e rispettosa, in costante intesa col palcoscenico.
Spiace e sorprende l’aver udito il commovente intermezzo deliberatamente spostato tra terzo e quarto atto per volontà registiche le quali, ben lungi dall’essere sinergiche con le ragioni musicali, hanno fatto sì che sulle note di questo struggente passo fosse eseguito un balletto che simboleggiasse il viaggio di Manon verso le Americhe.
Nelle vesti del ruolo del titolo troviamo Marigona Qerkezi, già ascoltata al Petruzzelli come Adina nel lontano 2020. Pur dotata di voce teatrale, di bel colore e soffice velluto, si potrebbe affermare che l’artista sia prestata al repertorio pucciniano. Tecnicamente è possibile udire una disomogeneità tra i registri centrale, acuto e quello grave, privo di polpa e squillo. La voce della Qerkezi, già ampia e ricca di armonici, si è nel tempo scurita, acquisendo un colore ambrato. Ciò tuttavia non basta a collocarla tra le voci pucciniane, se con questo termine si intende una voce pastosa, larga nei centri e sonora nel registro grave, caratteristiche proprie di un soprano lirico pieno. Gli acuti sono sicuri, la dizione è ottima e dalla sua la cantante dà il meglio di sé nell’atto quarto, con l’aria Sola, perduta abbandonata. Si apprezzano gli accenti drammatici profusi dall’interprete, cui tuttavia, come già detto, difetta il registro grave, funzionale in quest’aria a fini interpretativi. Spiace per lei che potrebbe brillare in un repertorio maggiormente belcantista.
Se leitmotivica è la scrittura pucciniana, questa sera il tema del leitmotiv è anche quello del repertorio, sbagliato e assolutamente inappropriato per il cavaliere Renato Des Grieux interpretato da Denys Pivnitskyi, stanco già dall’atto secondo, con evidenti difficoltà nel registro acuto, di spinta, con suoni fissi, la sua voce manca del giro che gli avrebbe consentito lo squillo. Duole inoltre la mancanza di una linea di canto elegante, al contrario, il suo è un canto generalmente aperto, vedasi le A e a ciò si aggiunge una dizione poco chiara e una pronuncia non ortodossa. Se il suo personaggio è presente da un punto di vista strettamente interpretativo e di accenti, sono tuttavia evidenti le difficoltà tecniche emerse dal confronto con l’esigente partitura pucciniana. Spiace, ma la sua prova non convince chi scrive.
Biagio Pizzuti è il giovane Lescaut, fratello di Manon. Giovane anch’egli, Pizzuti sfoggia una voce di un baritono schiettamente lirico, dal bel timbro chiaroscuro, che lo collocherebbe nell’alveo dei baritoni belcantisti, donizettiani o belliniani. Nei panni del breve ruolo di Lescaut è al debutto e porta a casa un buon successo personale e meritato. La voce è di bel colore, sorretta da un’ottima tecnica e cesellata dal canto sulla parola, unica via maestra per preservare la propria vocalità e rispettare il segno scritto.. Lo strumento vocale in suo possesso è teatrale e presenta una linea di canto all’italiana, porta con morbidezza, sul fiato, con nitida dizione e brillante squillo.
Autorevole il Geronte di Ravoir di Andrea Concetti, forse tra tutti la voce più teatrale. Come già per Pizzuti, lo si loda per il canto sulla parola, l’ampiezza del suono, un’agguerritissima tecnica, già da tempo custode di una brillante carriera, la musicalità e il fraseggio volto a tracciare ogni dettaglio del suo personaggio. Il suo Geronte, pur senescente come indicato dal nome stesso, dà vita ad un sentimento tutt’altro che simile all’amore e piuttosto incline alla perversione e alla brama di possesso dell’appena diciottenne Manon. Insieme a Biagio Pizzuti Andrea Concetti è risultato il migliore della serata.
Benché il coro in quest’opera non abbia un ruolo di assoluta predominanza, sotto la guida di Marco Medved si è come sempre distinto nei frequenti momenti a cui era chiamato, ora in forma di personificati e seducenti crinoline e merletti nell’elegante lezione di ballo, ora a prodursi in irriverenti e sarcastici commenti durante l’appello dell’atto terzo.
Ottimo il musico di Loriana Castellano, mezzosoprano dalla suadente e avvolgente voce, ottimamente timbrata.
Buona prova anche per Paolo Antognetti come Edmondo e corretto Saverio Pugliese nel doppio ruolo di maestro di ballo e de lampionaio, così come l’oste di Tiziano RosatiAntonio Muserra come comandante di marina e Domenico Apollonio come sergente degli Arceri.
I costumi, nella loro bellezza, ricercatezza e tradizionale eleganza sono rispettosi dell’ambientazione e il disegno registico totalmente incentrato sulla complessa psiche della protagonista, una ragazza senza alcuna morale e in contrasto con la visione dell’amore romantico del suo Renato. Entrambi i giovani non accettano la cruda realtà e la consapevolezza che le loro concezioni si riveleranno utopistiche. L’atto primo è quello del fuoco, della spensieratezza, della passione e della vivacità. Tra i colori dei costumi vi è una predominanza del giallo, del rosa, del beige, colori pastello, chiari e delicati. Sulla sinistra sono visibili i tavoli della locanda e Gasparon opportunamente colloca la celebre fontana con i tritoni e le statue di Plutone e Proserpina, immortalate dal Bernini. Il ratto di Proserpina da parte di Plutone è un chiaro riferimento non colto da Manon, la quale presto verrà rapita da Geronte, “incipriato Pluton”, come riportato nel libretto. Sullo sfondo l’azione coreografica accompagna l’azione con un intento favolistico: la vita come amore e sogno è ancora possibile. L’atto secondo è lieve, spensierato, vano, transitorio, superfluo: maestose colonne circondano l’alcova che diviene palcoscenico del modus vivendi di Manon che, elegantemente vestita, si fa bella. Sullo sfondo coppie di ballerini intenti a eseguire coreografie dal carattere bucolico, rappresentative dello stile galante del 1750. Colori come fucsia o viola troneggiano in quest’atto. Pur di allontanare Manon dal suo innamorato, Geronte la circonda di una corte a lei completamente devota. Quello di Manon è, in buona sostanza, un bel mondo dorato, come lei stessa afferma. Arida di sentimenti, Manon è una bambola d’altri tempi, sensibile ai diamanti più che all’amore. È vestita di rosa, immersa nell’apatia, negli agi, nel lusso. L’atto terzo è quello della notte, dell’acqua, del porto, dell’attesa, tra tentativi di fuga falliti e decreti di condanna per gli esiliati infelici. Sullo sfondo la nave che li traghetterà verso le Americhe. A tal scopo il regista colloca l’intermezzo tra terzo e quarto atto, un momento in cui sulla scena avviene la rappresentazione dei sentimenti dei due giovani, divisi tra speranza e disperazione. Come già asserito, chi scrive si dissocia dalla decisione di Gasparon. L’idea è ottima, ma avrebbe trovato pari efficacia senza metter mano alla partitura. L’atto quarto è quello del deserto, dell’aridità, della morte, l’epilogo di questa tragica storia. Per Manon non c’è perdono, né redenzione, l’afa attorno a lei si trasforma in mortale gelo, in un metaforico tramonto della sua breve vita. Nella visione di massimo Gasparon Manon è una bambina, impreparata a morire, nell’atto quarto si rivela per quello che è davvero: infantile, una bambina incapace di mostrare vero amore a Des Grieux. Morendo Manon si preoccupa solo di non essere più bella come un tempo. Tuttavia, grazie al genio di Puccini, per noi è possibile amare questo controverso personaggio, esattamente come ha fatto il suo Des Grieux.
A parte qualche contestazione all’indirizzo di Pivnitskyi, la serata è stata salutata con buon successo di pubblico.
CAST

Manon Lescaut Marigona Qerkezi

Renato Des Grieux Denys Pivnitskyi

Lescaut Biagio Pizzuti

Geronte di Ravoirm Andrea Concetti

Edmondo Paolo Antognetti

Un lampionaio Saverio Pugliese

Un musico Loriana Castellano

Un oste Tiziano Rosati

Il Maestro di ballo Saverio Pugliese

Sergente degli Arceri Domenico Apollonio

Comandante di Marina Antonio Muserra

 

direttore  Francesco Cilluffo
regia, scene, costumi, disegno luci  Massimo Gasparon
maestro del coro  Marco Medved

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO PETRUZZELLI

Allestimento scenico | Festival Puccini di Torre del Lago
in coproduzione con Fondazione Teatro Regio di Parma, Teatro Nazionale dell’Opera di Bucarest, Fondazione Teatro Petruzzelli

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Paola Labarile

Vestale della lirica fin dall’infanzia, essa è stata per me una vocazione che ha guidato la mia intera esistenza. Al termine della laurea triennale e magistrale in lettere classiche ho deciso di dedicare entrambe le mie tesi a figure come quella di Attila e norma. Mi sono successivamente laureata alla magistrale in musicologia sotto la guida del prof Fabrizio Della Seta. Stella cometa e guida verso il mio secondo percorso universitario è stata La Barcaccia, trasmissione in onda quotidianamente su Rai Radio3, con la sua rubrica Aria al microscopio. Il maestro Enrico Stinchelli è da sempre stato per me linfa vitale per le mie competenze. Come l’eccelsa Maria Callas si è nutrita delle competenze del maestro Serafin, io faccio lo stesso con quelle del maestro Stinchelli. La lirica per me è rifugio e vita. A questo immenso patrimonio spero di consacrare la mia vita in veste di professionista.

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