Nella storia della musica, ci sono diverse opere che hanno segnato il loro tempo e che oggi sono (quasi) completamente dimenticate dai programmatori: per quanto riguarda la musica francese, si possono certamente citare le quattro grand-operas di Meyerbeer, ma anche Le Désert di Félicien David o questa Louise*1 di Gustave Charpentier.
Louise non fu solo uno straordinario successo di pubblico. Fu anche una bomba intellettuale. Non per niente Alma Mahler la citò come una delle opere fondamentali del suo tempo, suscitando anche l’ammirazione di Gustav Mahler, Richard Strauss e Jules Massenet.
Al crocevia tra Wagner, Massenet, Debussy* e la scuola del verismo – o meglio la scuola francese corrispondente al verismo in Italia, il naturalismo di Bruneau – la musica di Gustave Charpentier ci sembra un caso unico.
Il libretto, di altissima qualità* , evita di essere manicheo, esponendo le argomentazioni e i sentimenti di ciascuna delle parti in causa nel conflitto che attanaglia la protagonista. È anche un’ode a Parigi, tanto realistica quanto allegorica, un incrocio tra il naturalismo di Zola (non a caso Charpentier sottotitola l’opera “romanzo musicale”) e il simbolismo caro a Saint-Pol-Roux, con personaggi come “le procureur de la Grande Cité”. E uno dei rari esempi di protagonisti della classe operaia nella storia dell’opera.
Ma la popolarità di Louise si affievolì inspiegabilmente a partire dagli anni Cinquanta (la millesima rappresentazione all‘Opéra-Comique, luogo della prima, fu celebrata nel 1956): era vittima del suo successo, si era banalizzata? * Il movimento operaio era passato di moda? La nuova intellighenzia bouleziana non poteva sostenere un’opera che Debussy aveva criticato? Il fatto è che la versione più recente a Parigi risale al 2007 *. Il Festival d’Aix ha avuto l’eccellente idea di farla rivivere.
Il Festival d’Aix ha puntato su due grandi punti di forza: la cantante protagonista e il direttore d’orchestra.
Elsa Dreisig, vocalmente splendida, riesce a far emergere tutte le sfumature, riempie di significato il suo testo e la sua parte, non ha difficoltà con la tessitura, la sua voce suona sempre fresca, il suo francese pulito, la sua musicalità costante. La sua aria (la parte la piu famosa dell’opera, « Depuis le jour ») venne interpretata senza difficoltà e con vero senso teatrale. E il duetto che segue col tenore fu un momento da vero esaltante.
Adam Smith è la sua controparte nel ruolo di Julien. La voce di Smith non è particolarmente bella, né il suo francese particolarmente chiaro, ma è coraggioso, dà i suoi acuti a voce piena e dà il massimo come attore. Sophie Koch, mezzosoprano francese che in passato è stata una notevole interprete del repertorio wagneriano, fa del suo meglio per dare vita alla madre, faticando a svolgere la sua parte. Completa il quartetto Nicolas Courjal, un po’ sopra le righe nella recitazione, con una voce allargata, meno comprensibile dei suoi co-protagonisti. Ma la messa in scena non lo rende facile.
Christopher Loy, con quella mania che hanno i registi di voler imporre la loro “piccola idea” sul testo originale, immagina che tutto avvenga nella sala d’attesa di un istituto psichiatrico e che sia tutto un delirio di Louise, che è pazza. Cosa dovrebbero rappresentare i cantanti, quello ch’è segnato nel testo e suggerito dalla musica (per esempio, il padre arriva a casa dal lavoro, stanco, vuole cenare e riposare, non vuole guai) o l’idea del regista teatrale (il padre arriva nella sala d’attesa dell’istituto psichiatrico, c’è sua figlia, che aspetta di essere assistita)?
Come ha detto uno spettatore dopo la rappresentazione: “per un’opera che danno ogni trent’anni, potrebbero avere la decenza di presentarla così come è stata concepita, senza aggiungere strane idee”.
Allo stesso modo, le pagine descrittive di Charpentier sono svuotate di contenuto dai capricci del regista teatrale. Nella già citata scena del primo atto, quando il padre torna a casa, inizialmente si toglie le scarpe, si mette le pantofole, mentre la madre scalda la minestra, la figlia apparecchia la tavola, ecc…. Ma poiché nella versione di Loyd tutto si svolge in una sala d’attesa, tutto ciò che vediamo, mentre la musica suona, sono i tre cantanti che cercano di riempire al meglio il vuoto recitativo. E la bella musica di Charpentier che deve farne sentire il sincero amore paterno diventa musica di pulsione pedofila del padre… Il bel preludio dell’alba parigina, con le sue grida di venditori, diventa un momento di attesa nell’anticamera stessa dell’istituto psichiatrico; il personaggio dell’ex cameriera che ora è un’anziana donna che spazza le strade, il ragazzo che senza dubbio va a lavorare presto*6 , il venditore di vestiti usati, il venditore di cibo per uccelli, il fruttivendolo, ecc. diventano tutti personaggi indeterminati nell’istituto psichiatrico. Svuotando la musica di significato, lo spettatore non capisce le corrispondenze teatrali-musicali e si annoia. E se ne va pensando che “l’opera è zoppa”. No, l’opera è magnifica, ciò che è “debole” è la messa in scena, che non è riuscita a rendere giustizia all’opera.
A parte alcuni tagli (in particolare la gustosa scena dei bohémiens è stata completamente eliminata) e la solita allusione alla pedofilia (un padre non può amare sua figlia senza pedofilia?! Ormai deve esserci un’allusione alla pedofilia in tutte le opere – come nella messa in scena del Don Giovanni di Icke a questo stesso festival?!).
Tuttavia, dobbiamo ringraziare il fatto che, rispetto ad altri direttori di scena, Loy ci permette di seguire più o meno l’azione originale. Con altri direttori di scena non avremmo avuto nemmeno questo.
Ma per fortuna abbiamo un direttore d’orchestra di altissimo livello, Giacomo Sagripanti. L’orchestra dell’Opera di Lyon lo segue con duttilità. E Sagripanti riesce a rendere udibili tutte le sfumature, tutte le ricche tessiture ideate da Charpentier, i tocchi di arpa (così presenti nella tradizione francese), le note del piffero che gia ci fanno pensare alla Scherezade di Ravel, il richiamo dei corni, i diversi piani sonori con le voci che si perdono, quelle che arrivano… Tutto questo senza mai coprire le voci, e soprattutto facendo cantare l’orchestra, evocando tutto ciò che la povera messa in scena di Loy ci nasconde, e permettendo anche a tutti i piccoli ruoli (e ce ne son qualcunni in quest’opera!) di essere ben sentiti. In questo senso, le scene corali, come quelle delle costumiste, son una vera delizia grazie a Sagripanti, e la participazione del coro, brillante. Un’interpretazione stupenda.
Alla fine, grazie sopratutto a Dreisig e Sagripanti, sono stati il libretto e la partitura di (Saint-Pol-Roux e) Charpentier a trionfare ancora una volta.
Se guardiamo alle coproduzioni, l’opera tornerà a Lyon (questa stagione a partire da subito) e all’Opera-Comique di Parigi (forse la prossima stagione?). Sono già impaziente di riascoltarla.
*1 Gustave Charpentier compose un’altra opera, Julien, rappresentata per la prima volta nel 1913, che racconta le peregrinazioni del personaggio dopo la rottura della relazione con Louise. Una partitura molto interessante – è in circolazione una registrazione da Dortmund – ma non ebbe il successo della sorella minore e Charpentier smise di comporre.
*2 Anche se Debussy detestava Louise – chissà se il grande compositore di Pelléas non fosse anche un po’ invidioso del successo travolgente del suo collega Charpentier – l’ascoltatore attuale sente bene che Charpentier cominciava ad assimilare la tendenza impressionista.
*3 È ufficioso che questo libretto, pur essendo firmato dal compositore, sia dovuto principalmente al poeta Saint-Pol-Roux – pseudonimo di Pierre Paul Roux – che Charpentier avrebbe pagato per tacere. I proventi derivanti da Louise, tuttavia, permisero al poeta di sopravvivere dignitosamente fino alla sua morte, avvenuta nel 1940.
*4 Va ricordato che Louise è stata persino oggetto di un adattamento cinematografico diretto nientemeno che da Abel Gance. Tuttavia, il film risulta piuttosto sdolcinato e poco credibile, svuotando l’opera originale del suo contenuto polemico e immergendola in una ventata di sdolcinatezza. In fati, Charpentier ha rinnegato l’adattamento cinematografico.
*5 Nel 2007, nella sala della Bastiglia dell’Opéra di Parigi, con una direzione d’orchestra che annega i cantanti e impedisce qualsiasi sfumatura e una messa in scena gelida, l’opera non è stata accolta con particolare favore dal pubblico.
*6 Ricordiamo inoltre che nel 1900 esisteva ancora il lavoro minorile.