L’incanto di una notte sospesa tra cielo e mare, la “Nave più bella del mondo” a fare da sfondo ad un’opera in cui le onde danzano in orchestra al pari delle passioni e dei sentimenti che agitano i protagonisti.
Il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi è un lavoro molto particolare, privo di arie celeberrime o di melodie immediatamente riconoscibili; si tratta di un’opera in cui la politica, la storia, la leggenda e l’amore si intersecano in un caleidoscopio di piani paralleli ed intrecci soltanto apparentemente lineari. Lo stesso personaggio che costituisce il ruolo del titolo è la fusione di due figure storiche: Simone, primo Doge di Genova, ed Egidio, suo fratello, corsaro. Simon Boccanegra, infatti, non fu mai né navigatore né corsaro; si tratta di un’invenzione letteraria di Antonio García Gutiérrez, poeta e drammaturgo spagnolo, autore del lavoro teatrale Simòn Boccanegra che ispirò l’opera di Verdi. Simon Boccanegra infatti era un uomo di governo, il primo Doge della Genova del Trecento, stretto tra diplomazia, fazioni e complotti.
Nel dramma di Gutierrez, la biografia di Simone cambiò rotta. Gutiérrez decise di fonderlo con il fratello Egidio, che corsaro lo era realmente. Fu una scelta consapevole: l’eroe romantico per essere davvero tale aveva bisogno del mare, delle tempeste, della solitudine delle onde. Così Simone divenne l’uomo che torna dalla navigazione per salire al potere, oltre che un padre che cerca la figlia perduta. Un Doge che governa tra le ombre e i fantasmi di un passato doloroso, in cui l’amore della sua vita, appartenente alla famiglia rivale dei Fieschi, muore senza che egli possa riabbracciare né lei né la loro piccola Maria, misteriosamente scomparsa.
Verdi e Boito non solo accettarono questa invenzione: la fecero propria, la trasformarono in una verità poetica, in una musica che percorre sottilmente la trama come una corrente marina, potente come il ricordo, struggente come il rimpianto. È da lì che nasce l’atmosfera notturna della partitura. È da lì che le onde si insinuano nei legni e negli archi: nel Simon Boccanegra di Verdi, la storia si piega alla musica. E la verità si immerge nel mito di un personaggio che non può nemmeno vivere il proprio dolore in solitudine, stretto com’è fra la politica e la ragione di Stato, fra le congiure di chi – amico solo in apparenza – trama alle sue spalle e tesse intrighi di odio quando invece Simone ricerca la pace fra le città marinare, l’armonia tra le fazioni genovesi, la composizione dell’eterno conflitto fra patrizi e plebei.
Quale scenario migliore se non il mare per un’opera come questa? L’omaggio storico al Doge genovese che per primo istituì la Podesteria de La Spezia diventa l’abbraccio di una città intera che, sul molo Italia, si stringe intorno ad una nave simbolo dell’Italia stessa, e che porta il nome del mitico navigatore fiorentino il cui nome diventò quello del Nuovo Mondo: Amerigo Vespucci.
All’ombra dei tre maestosi alberi della nave scuola della Marina Militare italiana, ammantati con i colori del tramonto e delle luci della scenografia, il palco galleggiante sul mare più grande al mondo – di ben 70 metri di lunghezza! – ha ospitato quasi duecento artisti, fra musicisti, coristi, cantanti solisti, oltre ovviamente a tutte le maestranze senza le quali non sarebbe stato possibile allestire uno spettacolo tanto grandioso.
L’orchestra delle Terre verdiane, diretta dal maestro Stefano Giaroli, ha restituito con slancio e colori scintillanti le sfumature di una partitura che richiede una lettura profonda ed un’attenta gestione dei contrasti che si agitano sulla scena; la regia di Paolo Panizza ha costruito un dialogo di forte simbolismo fra gli spazi del palcoscenico e la nave Vespucci, coadiuvato dai costumi di grande raffinatezza coloristica di Carla Galleri e dalle efficaci scene di Franco Armieri, in cui gli elementi della Marina – bussola, timone, ponte di comando, la nave stessa – costituivano un continuo rimando tra il passato ed il presente del Doge e della città stessa. Una lettura semplice ma di forte impatto, volta a restituire la grande bellezza del paesaggio e della cultura italiane unitamente a quell’elemento “popolare” inteso nell’accezione più propria del termine: quella che ha sempre fatto dell’opera il genere maggiormente trasversale in cui chiunque, di qualsiasi estrazione sociale, potesse riconoscersi.
I cantanti protagonisti, giovani talenti che l’associazione Amici del Loggiato seleziona con un’audizione-concorso e dei quali promuove la crescita artistica, hanno mostrato un’incredibile adesione ai propri personaggi, ed uno sviluppo vocale dei piani temporali notevole; l’opera, infatti, si snoda su due livelli di narrazione, separati da ben venticinque anni. Non è scontato che artisti così giovani, spesso al proprio debutto, riescano a rendere così bene ruoli normalmente affidati a cantanti di maggiore maturità ed esperienza.
Ettore Lee è stato un Simone dal bel timbro e dall’emissione sicura, in grado di scurire e modellare i tratti vocali del proprio personaggio con l’avanzare dell’età oltre del dramma in scena; Leyla Gu ha tratteggiato una Maria Boccanegra fresca e sognante, con un fraseggio già maturo ed una presenza scenica di grande efficacia; Agostino Subacchi ha modellato un convincente Jacopo Fiesco aggiungendo squarci di nobiltà d’animo ai tanti chiaroscuri del personaggio, mostrando una vocalità piena e sicura; Stavros Mantis è stato in grado di unire una notevole prova attoriale ad un timbro pieno e dal bellissimo colore, disegnando il cattivo più cattivo dell’opera (ovvero Paolo Albiani) in modo magistrale; Hyun-Seo-Park è stato un energico Gabriele Adorno, con un’ottima proiezione e timbro brillante. Di grande efficacia anche tutti i ruoli di contorno e gli attori/figuranti.
Insomma, il Simon Boccanegra che è andato in scena il 19 giugno (con seconda recita e cast alternativo il 20) al Molo Italia de La Spezia è stato un unicum dai tratti particolarissimi, frutto della bella sinergia tra enti ed associazioni spezzini e la Marina Militare Italiana; un evento che ben si è inserito all’interno del Centenario del Palio e che, dopo la Madama Butterfly dello scorso anno sull’Incrociatore Portaeromobili Giuseppe Garibaldi, ha nuovamente unito la grande Opera ed il mare in uno spettacolo ammaliante e, letteralmente, senza precedenti.