La storia di Minnie, donna che lotta, che vince e che salva, tra le eroine più coraggiose e forti dell’universo pucciniano, ha entusiasmato il pubblico del Teatro di San Carlo di Napoli, nella quinta e ultima replica tenutasi martedì 29 aprile.
La Fanciulla del West di Giacomo Puccini, su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, torna dopo otto anni di assenza sul palco del massimo teatro napoletano, riproponendo la medesima, riuscita, regia di Hugo De Ana (che firma anche scene e costumi) ripresa per l’occasione da Paolo Vettori.
Andata in scena per la prima volta il 10 dicembre 1910 al Metropolitan di New York, l’opera, tratta dal dramma di David Belasco The Girl of the Golden West, mette in scena il classico triangolo amoroso immerso però in un contesto esotico eppure emotivamente vicino a Puccini. Il compositore cerca di dar voce all’odissea della povera gente della sua patria in cerca di fortuna lontano dalla propria terra, in quel nuovo mondo che qui assume la veste della California ai tempi della corsa all’oro. Gli avventori della “Polka”, il locale di Minnie, sono pervasi dalla malinconia e dalla nostalgia della loro casa, come più volte viene fuori dal libretto, specialmente nel primo atto. In questa realtà così meschina, vissuta a rincorrere la chimera della ricchezza, i protagonisti – la stessa Minnie, lo sceriffo Rance e il bandito Ramerrez – cercano uno spiraglio di felicità, un riscatto e la redenzione in grado di sollevarli dalla loro triste e solitaria condizione.
La musica di Puccini si fa voce di queste aspirazioni con la sua poderosa ricchezza orchestrale e timbrica. Richiamando echi di Tosca, sonorità quasi ravelliane miste a una costruzione tematica simil-wagneriana, descrive con rara perizia sia l’azione dei personaggi sulla scena sia la natura selvaggia delle sterminate valli californiane, risultando probabilmente la più “cinematografica” delle sue opere. La scenografia del duo De Ana/Vettori, unitamente alle luci di Vinicio Cheli (riprese da Virginio Levrio), rende giustizia a tale impostazione, restituendo uno scorcio delle ambientazioni western dei classici film hollywoodiani: lo stanzone in legno della locanda, la casetta di Minnie, la scena en plein air del terzo atto – tra lo scheletro di un mulino, una diligenza e un patibolo – sono suggestive nella loro tradizionalità e curate nei minimi dettagli. Esse si stagliano sullo sfondo degli sconfinati e incontaminati panorami degli Stati Uniti occidentali, riprodotti nel loro mutare atmosferico e proiettati (con la firma di Sergio Metalli) su un largo fondale alle spalle della scena.
L’azione dei personaggi sul palco si distingue anche qui per una regia “da film”, in particolare nel secondo atto, il più cinematografico dei tre: dalla breve introduzione intermezziale dei due indiani Wowkle e Billy, all’appassionato duetto tra Minnie e Dick, fino al concitato intervento dello sceriffo Jack Rance che culmina nell’intensissima scena della partita a poker. Quest’ultima, così come quella in cui lo sceriffo spara al Johnson, sono scene davvero ben “girate”. Ugualmente efficaci risultano le numerose scene di massa del primo e terzo atto: nell’atto d’apertura, l’atmosfera confusionaria e ciarliera nella locanda, luogo di ritrovo serale dei minatori, è resa in modo dinamico e visivamente gradevole.
D’altro canto, la caoticità di tali scene si riflette in un’altrettanto disordinata – e questa volta meno gradevole – coesione tra orchestra e palco. La compagine musicale del Teatro di San Carlo, diretta da Jonathan Darlington, mostra grande attenzione alle indicazioni dinamiche e agogiche della partitura pucciniana, con particolare cura alle varie sfumature dei pianissimi. Sotto la guida dell’esperta bacchetta britannica, vengono esaltati i momenti di più intenso lirismo drammatico nel secondo atto, così come le melodie di trasognata malinconia nel primo (su tutte, la struggente Che faranno i vecchi miei di Jack Wallace) e nel terzo atto (nell’addio mia dolce terra, addio mia California, nella quale non a caso riaffiora il tema della romanza di Wallace). Tuttavia, nelle scene corali e più concitate, si percepisce una minore concentrazione e conseguente compattezza tra orchestra e voci, con un certo squilibrio a favore della componente strumentale, che talvolta sovrasta il canto. In questi passaggi, inoltre, la resa musicale appare meno espressiva e leggermente appiattita, restituendo una lettura sì curata, ma talvolta un po’ accademica nei momenti più innovativi della scrittura pucciniana.
Di buon livello nel complesso il cast vocale, benché anche qui, come nel caso dell’orchestra, si noti un certo sdoppiamento, ossia una grande attenzione nell’affrontare determinati frangenti e una certa superficialità in altri.
L’ingresso letteralmente scoppiettante con cui Minnie si affaccia decisa sulla scena – a mo’ di brigante, sparando colpi di fucile in aria per riportare ordine nella locanda – ci fa intuire immediatamente il carattere forte e determinato della protagonista. Donna indipendente e risoluta, dietro la scorza dura cela un lato romantico e amorevole che Anna Pirozzi restituisce con una prova attoriale straordinaria e vocale in crescendo. Dopo un avvio non senza qualche difficoltà sul piano dell’emissione, il soprano napoletano acquisisce, già nel finale del primo atto, una maggiore sicurezza e potenza vocale, con grande padronanza negli acuti e fluidità di passaggio tra i vari registri. Nel secondo atto, impersonando un personaggio a metà tra Tosca e Mimì, dà il meglio di sé con una prova di grande intensità espressiva che culmina con la sua vittoria nei confronti dello sceriffo nella partita a poker. Nel finale torna a rivestire i panni della guerriera e, anche qui fucile in spalla, corre a salvare il suo amato Dick, chiudendo egregiamente con l’accorata perorazione e il commovente canto d’addio.
Molto convincente anche la prova attoriale di Martin Muehle nel ruolo di Dick Johnson, alias il bandito Ramerrez. Il tenore tedesco-brasiliano delinea con efficacia la figura romantica del fuorilegge per necessità, animato tuttavia da un sincero desiderio di redenzione. Dal punto di vista tecnico, si dimostra sicuro e particolarmente a suo agio nel registro acuto, che affronta con disinvoltura. Tuttavia, la sua prestazione vocale non è priva di qualche incertezza, soprattutto nel primo atto, dove si rileva una tenuta del fiato talvolta non ottimale. Di grande impatto emotivo è invece l’interpretazione nel secondo atto, nel lungo e intenso duetto con Minnie, in cui esprime al meglio pathos ed espressività. Nel finale, la celebre aria Che ella mi creda libero è affrontata con ineccepibile padronanza tecnica, per quanto non eguagli del tutto le vette espressive raggiunte nell’atto precedente.
A completare il terzetto dei protagonisti, Gabriele Viviani offre un’ottima prova attoriale nel ruolo dello sceriffo Jack Rance. Il baritono restituisce con efficacia un personaggio duro e autoritario, mettendo al contempo in evidenza una notevole potenza vocale e una limpidezza d’emissione di grande impatto.
Affollato il parterre dei comprimari tra cui spiccano per nitidezza del timbro il Sid di Lodovico Filippo Ravizza e il Larkens di Lorenzo Mazzucchelli. Interessante dal punto di vista vocale l’omerico (in quanto rappresentato come cantastorie non vedente) Jack Wallace di Gabriele Ribis. Molto bravi anche Alberto Robert, Mariano Buccino, Leon Kim e Antonio Garés nei panni rispettivamente di Nick, Ashby, Sonora e Trin. Completano degnamente il cast Clemente Antonio Daliotti (Bello), Gregory Bonfatti (Harry), Sun Pietro Di Bianco (Happy), Michele Maddaloni (Un postiglione), e i bravi allievi dell’accademia del Teatro di San Carlo Tianxuefei (Joe), Sebastià Serra (Billy Jackrabbit), Antonia Salzano (Wowkle), Yunho Kim (Josè Castro).
Il coro maschile del Teatro, sotto la direzione di Fabrizio Cassi, offre come al solito una prova di pregevole livello nonostante la partitura non facile e i problemi di collegamento con l’orchestra già menzionati.
Nel complesso un allestimento molto ben riuscito che il pubblico ha gratificato, una volta calato il sipario sull’alba dorata del west, con calorosi applausi.