All’indomani della festa degli innamorati il Teatro di San Carlo propone al suo pubblico la più celebre delle storie d’amore in versione operistica: Roméo et Juliette, Tragédie Lyrique in cinque atti, una rarità per i teatri italiani. Composta nel 1867 da Charles Gounod per il Théâtre Lyrique, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, l’opera traspone in musica il capolavoro shakespeariano enfatizzando al massimo la storia d’amore tra i due giovani amanti a discapito degli aspetti socio-politici presenti nella tragedia originale. Il libretto vede stagliarsi Roméo e Juliette e i loro numerosi duetti d’amore su tutti gli altri personaggi, e la musica di Gounod fa leva sulla componente emozionale e sentimentale della vicenda. In quest’ottica risulta ben riuscito l’allestimento prodotto da ABAO Bilbao Opera e Opera de Oviedo per la regia di Giorgia Guerra, che insieme alla direzione di Sesto Quatrini, dà vita a una rappresentazione vibrante, organica e coesa.
Il taglio dato dalla regista Guerra, coadiuvata alla regia da Pier Paolo Zoni e alle scene da Federica Parolini, è volto a creare uno spazio scenico scarno ed essenziale al fine di cogliere appieno la potenza drammatica ed emotiva della narrazione catapultando quindi lo spettatore in uno scrigno senza tempo e a tratti onirico, ancorché suggestivo – in particolare nella scena del balcone dove le luci d’un soffuso azzurrino di Fiammetta Baldiserri contribuiscono a rendere la scena decisamente sognante. Con l’eccezione di un monolite rettangolare, una cupa torre presagio sia del destino infausto che grava sulla coppia sia simbolo dell’autorità familiare e della chiusura e dell’odio di quest’ultima verso l’esterno, la scenografia è costituita da tre spoglie pareti delimitanti i confini del palcoscenico e sulle quali vengono proiettate immagini (curate da Imaginarium Studio) di interni o esterni di antichi palazzi, una scelta affascinante tenendo conto soprattutto che per una volta tali proiezioni non risultano né invasive né didascaliche. Peccato però per un problema tecnico che ha precluso la visione di queste immagini negli ultimi due atti, rendendo, di fatto, la scena più povera e anche più tetra. Una connotazione temporale è tuttavia fornita dai pregevoli costumi d’epoca di Lorena Marin e Anna Penazzo, i cui svolazzi conferiscono anche una certa grazia e leggiadria ai movimenti dei cantanti in particolare nel primo atto della festa in maschera, dove sia i singoli sia le masse si muovono sulla scena con fare danzante. In generale i movimenti dei cantanti in scena e delle masse sono molto curati e ben calibrati, oltre al già citato primo atto ci piace menzionare la scena del duello nel terzo. Qui, sia i protagonisti sia gli elementi del coro divisi per l’occasione nelle due fazioni di Montecchi e Capuleti danno vita a una scena particolarmente dinamica e di inusuale realismo per gli standard dell’opera.
Sul versante musicale, l’Orchestra del Teatro assolve egregiamente al suo compito di amalgamarsi all’azione scenica e alla compagnia di canto. Il direttore Sesto Quatrini, al suo debutto presso il Massimo Napoletano, interpreta in maniera intelligente e interessante la complessa partitura di Gounod. Se da un lato la tessitura orchestrale si rivela un “tappeto” sonoro, che è tutt’altro che un semplice accompagnamento della linea di canto dei protagonisti – bensì un mezzo che ne raddoppia la voce e ne potenzia l’espressività – dall’altro nell’ouverture e nei diversi entr’acte che costellano l’avvicendarsi dei cinque atti la musica si libra sul palcoscenico muto dipingendo suggestivi scorci paesaggistici ed emozionali. Emblematico in questo senso è il preludio del secondo atto, reso come fosse un sognante notturno: delicato ma non eccessivamente etereo grazie a una sapiente gestione delle dinamiche e a un accurato equilibrio dei volumi delle varie sezioni. La chiave di lettura di Quatrini si adegua alla duplice atmosfera che permea il libretto, resa ancora più evidente dall’insolita scelta registica di collocare l’unico intervallo presente esattamente a metà del terzo atto, tra il matrimonio segreto di Roméo e Juliette e la grande scena del duello. Una scelta giustificata sia dall’intervallo temporale che separa le due scene nell’azione drammatica, sia soprattutto dal radicale cambio di atmosfera: se fino alla scena del matrimonio domina infatti il palpabile sentimento amoroso tra i due amanti che culmina nel giuramento di amore eterno, nella seconda parte è l’afflizione e la consapevolezza dell’incombere di un destino nefasto a prevalere. Ciò si riflette anche nel carattere musicale: mentre la prima parte è dominata da una vibrante tensione, percepibile persino nelle pause, dopo l’intervallo essa muta per lasciare spazio a un’atmosfera pervasa da angoscia e languore, che l’orchestra dipinge con tinte sempre più cupe, preannunciando così il tragico epilogo dell’opera.
Il cast vocale è nel complesso di ottimo livello, ma spicca sopra tutti la superba prestazione di Nadine Sierra nel ruolo di Juliette. Il soprano statunitense è perfettamente a suo agio nell’interpretare questo ruolo che sembra cucito appositamente per lei. Oltre a muoversi sulla scena con eleganza e grande naturalezza, tanto da attrarre su di sé l’attenzione anche nei momenti in cui è in silenzio, ella domina con sicurezza totale le difficili parti vocali affidate al personaggio. Non c’è passaggio nel quale mostri un sia pur lieve tentennamento; nella sua interpretazione della celebre Je veux vivre si distingue per la brillantezza della voce, la facilità di gestione del registro acuto – affrontato con splendida chiarezza e calibrata potenza – e per un fraseggio elegante tanto quanto i movimenti a ritmo di valzer con cui accompagna il canto. Una prova che ha ben meritato il primo lungo ed entusiasta applauso del pubblico. Ovazione ripetuta in occasione dell’altra difficile aria Amour, ranime mon courage, nella quale, oltre a dimostrare una notevole intensità drammatica, ha espresso al meglio la sua facilità di controllo della partitura e la limpidezza del canto.
Di grande pregio e intensità è anche la prova di Javier Camarena nei panni di Roméo. Il tenore messicano restituisce un Roméo innamorato, “mystérieux et sombre” (misterioso e cupo) per dirla alla Mercutio, in particolare nella cavatina all’esordio del secondo atto Ah, lève-toi, soleil! dove riesce a far emergere, come poi nel successivo duetto, tutta la palpitazione d’amore del personaggio. Vocalmente si dimostra generalmente sicuro e brillante, per quanto si percepisca una maggiore difficoltà nella resa degli acuti che comunque supera con mestiere.
Un ottimo Frère Laurent è quello offerto da Gianluca Buratto. Il basso con la sua voce calda e con un saldo controllo restituisce un personaggio autorevole e credibile. Mentre il tenore Alessio Arduini, con la sua voce brillante e cristallina, e con una curata espressività e tecnica rende ottimamente la vivacità di Mercutio. Parimenti brava è Caterina Piva nei panni en travesti di Stéphano. Il mezzosoprano, pur avendo poco spazio sulla scena, mostra una solidità vocale impeccabile e restituisce un personaggio frizzante e vivace. Leggermente più incerto sotto il profilo vocale, ma convincente sotto quello attoriale è il basso Mark Kurmanbayev nei panni di Capuleti. Limpido e preciso è il canto di Marco Ciaponi nel ruolo di Tybalt, che offre una prova ampiamente apprezzabile anche come attore. Lo stesso dicasi per la bravissima Annunziata Vestri, la cui efficace presenza scenica si affianca a una altrettanto convincente prestazione vocale. Le duc de Vérone è stato interpretato dal bravo, seppur poco vigoroso, Yunho Kim, mentre Antimo dell’Omo, Sun Tianxuefei e Maurizio Bove, rispettivamente nei panni di Pâris, Benvolio e Grégorio hanno completato degnamente il cast.
Il coro del Teatro di San Carlo diretto da Fabrizio Cassi è il primo personaggio a presentarsi sulla scena dando l’avvio di fatto all’Opera, nell’ouverture-prologo. In questo frangente canta sostanzialmente a cappella, mostrando alcune lievi incertezze sia d’intonazione sia di coesione, incertezze che tuttavia vanno scomparendo già dal primo atto dove il coro mostra la sua consueta padronanza e professionalità.
Nel complesso uno spettacolo di eccezionale livello sotto ogni aspetto, molto apprezzato dal pubblico che ha tributato calorosi applausi a tutto il cast e all’orchestra.