Al “Regio” di Parma si chiude la stagione lirica con un travolgente successo per “Tosca”, nell’allestimento storico di Alberto Fassini e con la direzione di un Daniel Oren in stato di grazia
E’ una Tosca irresistibile anche per i verdiani duri e puri di Parma, quella andata in scena al Teatro Regio in conclusione di stagione. Trainata dalla ormai leggendaria personalità travolgente del Maestro Daniel Oren e da un cast di assoluta qualità, lo spettacolo ha ricevuto unanimi ed entusiastici consensi.
Oren alla guida della Filarmonica Toscanini è semplicemente sontuoso. Dalla prima all’ultima nota culla le voci, si amalgama ad esse al punto da raggiungere una vera e propria simbiosi armonica tra le parti. Orchestra, cantanti, coro, oseremmo dire anche il pubblico, respirano e si immergono assieme in una sconfinata varietà espressiva che affresca con inaudita efficacia le atmosfere contrastanti dell’opera: dalla cupezza del contesto storico-politico in cui il bigottismo, la spregiudicatezza, l’ipocrisia e l’arroganza del potere di Scarpia dominano su un popolo sottomesso ed obbediente, alla poesia trasognata e passionale al tempo stesso dell’amore tra Mario e Floria Tosca, fino al fuoco della passione libertina e rivoluzionaria e alla nostalgica malinconia del terzo atto che infiammano l’animo di Cavaradossi. La ricchezza e la ricercatezza di dinamiche e timbri, i tempi che si rincorrono e si distendono a fini espressivi, la pulizia e l’equilibrio di suono e di volumi, contribuiscono ad una prova di grande impatto che raggiunge apici di intensità drammatica da brivido nel Te Deum, complici un perfetto coro del Teatro Regio preparato da Martino Faggiani e il coro di voci bianche diretto da Massimo Fiocchi Malaspina, ma anche nel suggestivo inizio di terzo atto e nella cinematografica scena del “Vittoria, vittoria!” nel secondo.
A dare voce e vesti ai personaggi spicca un cast di assoluto livello. La protagonista, Floria Tosca, è Maria Josè Siri, chiamata a sostituire Anastasia Bartoli. Siri è ormai un interprete riconosciuta ed affermata in questo ruolo e anche questa volta la sua performance non delude. Una Tosca che non eccede e non sconfina in volgari scenate, capricci, pianti pur rispecchiando appieno la proverbiale gelosia che la contraddistingue, seppure in maniera più matura e controllata. Un aspetto che ritroviamo coerentemente in tutta l’opera, dove emergono timori, passioni, coraggio, sofferenza, ma sempre con un profondo tratto di dignità. Sul lato musicale tutto ciò si riflette in un canto espressivo, omogeneo in ogni registro e ricco di sfumature.
Eccellente il Mario Cavaradossi di Fabio Sartori, anch’egli in luogo di un indisposto Bryan Jadge. Il tenore sfoggia un timbro risonante, caldo, di bel colore, sicurissimo in ogni registro, unito ad un fraseggio da vero artista, fin dalle primissime note di “Recondita Armonia”. L’estrema generosità di un canto schietto e ben proiettato, si unisce alla sincerità in ogni aspetto che traspare dalla caratterizzazione del personaggio, applauditissimo dal pubblico che a gran voce richiede (e ottiene) un emozionante bis di “E lucevan le stelle”.
Gli aggettivi si sprecano per definire poi il Barone Scarpia di Luca Salsi, ormai plasmato ad immagine e somiglianza di un personaggio dalle svariate sfaccettature e contraddizioni. Autorevole ed autoritario, perfido ed elegante, Salsi cattura e colpisce in virtù di una interpretazione che tanto nel canto, quanto nella gestualità, non lascia davvero nulla al caso. Anche la più insignificante (apparentemente) delle frasi o delle parole assume un significato e un senso profondo rispecchiando una intenzione nella costruzione del carattere, così come ogni accento non è mai lasciato al caso. Ne risulta una interpretazione monumentale, da vero grande artista, in cui il potente strumento vocale e le doti sceniche si mescolano e si mettono al servizio le une delle altre.
Particolarmente meritevole è anche Roberto Abbondanza, un Sagrestano la cui lettura del personaggio ci appare davvero interessante e lontana dal macchiettistico, rivelando sfumature e tratti caratteriali molto meno banali e più articolati di quanto si è soliti pensare.
Efficaci anche i restanti interpreti. Dall’incisivo Spoletta di Marcello Nardis all’Angelotti di Luciano Leoni. Positive anche le prove di Eugenio Maria Degiacomi – Sciarrone, Lucio Di Giovanni – un carceriere e Sofia Bucaram, un pastore.
Lo spettacolo viene eseguito con l’allestimento ormai storico ideato da Alberto Fassini e ripreso, ormai da anni, da Joseph Franconi Lee, originariamente pensato e cucito sulla affascinante figura di Raina Kabaivanska. L’impianto, sempre di grande funzionalità ed effetto, vede un buon lavoro registico su tutti i personaggi, improntato alla più classica tradizione ma senza particolari convenzionalismi “d’antan” che ne potrebbero inficiare la resa drammatica. Le imponenti scene e i costumi sono di William Orlandi, mentre le luci, perfettamente inserite e d’effetto, sono di Andrea Borelli.
Come già riportato, lo spettacolo riscuote uno straripante successo, con acclamazioni ripetute ed entusiastiche per il beniamino di casa, Luca Salsi e per tutti i protagonisti, nonché per il Maestro Daniel Oren.