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Roma, Teatro dell’Opera: Tosca

Roma, Teatro dell'Opera Tosca - ph Fabrizio Sansoni - recensione Opera Mundus
Roma, Teatro dell'Opera Tosca - ph Fabrizio Sansoni - recensione Opera Mundus

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Il 14 gennaio del 1900 al Teatro Costanzi di Roma andava in scena per la prima volta Tosca, opera lirica in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, che sarebbe in seguito divenuta il più grande capolavoro di Giacomo Puccini (il che è tutto dire). L’opera infatti si distingue sia per la sperimentazione musicale sia per quella in ambito drammaturgico. Pur mantenendo il melodismo e il lirismo tipici del Puccini “ottocentesco” (qui troviamo infatti alcune delle sue melodie più memorabili), l’innovazione nella scrittura orchestrale – dalla ricerca di effetti timbrici nuovi alla capacità di rendere la musica parte integrante dell’azione scenica – sostiene e potenzia un arco narrativo che procede con ritmo serrato e tensione costante. La vicenda possiede una coerenza e una compattezza rare da trovare nell’opera, snodandosi in un crescendo di pathos e coinvolgimento emotivo dove il colpo di scena è dietro l’angolo. Tosca, inoltre, nelle intenzioni di Puccini e del suo editore Giulio Ricordi, doveva essere l’opera di una città, Roma appunto. Non a caso, i tre atti del dramma si svolgono in luoghi romani che possiamo ammirare nella loro bellezza: la chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese (dove è lo studio di Scarpia) e la terrazza di Castel Sant’Angelo.

In occasione del 125° anniversario dalla prima, il Teatro dell’Opera di Roma presenta la suggestiva ricostruzione storica, per la regia di Alessandro Talevi, portata in scena per la prima volta nel 2015. Le ambientazioni sono quelle originariamente create da Adolf Hohenstein per il primissimo allestimento del 1900, e per l’occasione recuperate da Carlo Savi. Gli elementi scenici sono stati interamente ricostruiti dal laboratorio di scenografia del Teatro dell’Opera ricorrendo alla tecnica tradizionale della pittura su tela e basandosi sia sui bozzetti originali di Hohenstein stesso sia su schizzi preparatori precedenti. Anche i costumi, ideati sempre da Hohenstein, sono stati fedelmente replicati da Anna Biagiotti partendo dagli schizzi e dai figurini disegnati dall’artista. Un attentissimo lavoro filologico di grande pregio (cui si aggiungono le luci di Vinicio Cheli), che riporta in vita l’estetica Liberty dell’illustratore e scenografo tedesco, all’epoca direttore artistico delle officine grafiche della casa editrice Ricordi. L’affascinante riedizione, che oltre alle scenografie e ai costumi ha coinvolto la ripresa fedelissima di tutti gli oggetti e le attrezzature di scena, ci permette di fare un duplice salto nel passato: il primo quello di rivivere l’emozione di chi assistette alla Tosca e alla sua mole di novità agli albori del nuovo secolo; il secondo quello di avere uno scorcio della Roma papalina del 1800, anno di ambientazione della vicenda, con i suoi colori e la sua vitalità e al contempo con il suo lato più oscuro, quello di uno stato di polizia repressivo incarnato nella figura del barone Scarpia, capo della polizia pontificia che rappresenta il volto più cupo e reazionario del potere ecclesiastico dell’epoca. Questa messinscena mostra un’attenzione scrupolosissima al dettaglio, ricalcando la cura maniacale voluta dallo stesso Puccini. Il compositore, oltre a ricercare la massima fedeltà storica – dai testi liturgici di introduzione al Te Deum alla nota esatta della campana di San Pietro nel terzo atto – si premurò che la riproduzione degli ambienti fosse quanto più realistica possibile. Ne sono testimonianza le lettere che, insieme ai disegni di Hohenstein e la partitura originale dell’opera, fanno parte del materiale storico esposto alla mostra gratuita ‘Tosca 125 – Oltre la scena’, organizzata dal Teatro in collaborazione con l’Archivio Storico Ricordi. La regia di Talevi inoltre si configura come attentissima alle indicazioni riportate sul libretto, ricchissimo di suggerimenti relativi ai movimenti e alle intenzioni di canto dei personaggi. Gli interpreti in scena fanno sfoggio di una spiccata teatralità frutto appunto di un’opera che per sua natura spinge molto sulla dimensione drammatica. Un “esperimento sulla tradizione” (parole del regista) che appare riuscito – libretto alla mano si nota come tutto ciò che avviene sul palcoscenico sia rispondente a quanto scritto da Puccini, Illica e Giacosa – e quanto è soddisfacente vedere per una volta una rappresentazione che segua alla lettera le volontà degli autori, evitando così le forzature che inevitabilmente ci sono anche nelle migliori produzioni “contemporanee”. Meravigliosi i finali I e II, dove ammiriamo rispettivamente la potenza orchestrale e la magnificenza della scena del “Te Deum”, e poi l’iconico momento in cui Tosca dispone i candelabri ai lati del cadavere di Scarpia, ricalcando quanto avveniva nell’omonimo dramma teatrale di Victorien Sardou; anche qui si nota una volta di più l’incredibile simbiosi tra azione scenica e discorso musicale.

Veniamo ora al lato prettamente musicale. Dopo che la serata inaugurale e la prima replica hanno visto sul podio il direttore musicale Michele Mariotti, le restanti rappresentazioni sono state affidate a Francesco Ivan Ciampa. Il direttore guida con piglio deciso ed energico l’orchestra del Teatro. Molto apprezzabile la scelta dei tempi e la varietà di dinamiche, in particolar modo nel primo atto, dove più che altrove si apprezzano i repentini cambi di ritmo e di carattere, tra momenti squisitamente lirici e quelli più irruenti e movimentati o perfino sbarazzini. Salvo poche piccole imperfezioni nel terzo atto, l’orchestra assolve molto bene al suo compito di sostenere l’intreccio drammaturgico e di dar vita alle intense pagine della partitura pucciniana, anche se in diversi passaggi l’eccessivo volume sonoro ha sovrastato le voci dei cantanti. 

Di grande pregio il cast vocale: Saioa Hernandez nel ruolo del titolo è una vera diva, come il personaggio che interpreta del resto, e autentica stella della serata. La sua Tosca è pressoché perfetta: dal suo ingresso in scena comprendiamo subito perfettamente la psicologia del personaggio, donna gelosissima ma al contempo forte e sicura di sé. Talevi ha raccontato di aver chiesto agli interpreti di recitare le battute prima di cantarle, ciò al fine di comprenderne a fondo il significato, spesso posto in secondo piano quando si è concentrati esclusivamente sul canto; ebbene questo esercizio pare aver portato frutti eccellenti in particolare per la Hernandez, calata completamente nel personaggio: le sue parole appaiono davvero autentiche nei recitativi e soprattutto nei duetti e nella celeberrima “Vissi d’arte”, interpretata con grande espressività e partecipazione emotiva. Emissione vocale potente e brillante, Saioa Hernandez attraversa con apparente facilità tutti i registri, padroneggia perfettamente gli acuti e risulta molto efficace anche nelle parti declamate, nello specifico in quelle più rabbiose nel momento dell’assassinio di Scarpia, le quali conferiscono un realismo notevole alla scena. Molto buona anche la prova di Gregory Kunde nei panni di Mario Cavaradossi. Il tenore eccelle in espressività sia nei movimenti e nella gestualità, dando prova di essere un consumato attore di teatro, sia nel canto, intensissimo nell’aria “E lucevan le stelle” e ancor di più nei duetti con Tosca. Veramente ammirevole nel fraseggio e nell’intonazione, pecca appena di una potenza vocale non delle serate migliori: soprattutto nel primo atto dove la sua voce risulta a tratti leggermente velata, venendo sovrastata dall’orchestra più spesso rispetto agli altri cantanti. Convince anche la prova canora del baritono Gevorg Hakobyan nel ruolo di Scarpia, un po’ più rigido e meno comunicativo sul versante attoriale, ma comunque eccellente vocalmente nella scena del “Te Deum” e nel secondo atto, nel quale da assoluto protagonista dà sfoggio di grande sicurezza e potenza. Ottime anche le voci di Luciano Leoni nei panni di Angelotti e di Domenico Colaianni in quelli del sagrestano; a quest’ultimo in particolare va il merito di aver dato vita a un sacrista caricaturale ma non macchiettistico come spesso capita di vedere. Completano degnamente il cast Saverio Fiore (Spoletta), Marco Severin (Sciarrone), Andrea Jin Chen (un carceriere) e Irene Codau (un pastorello). Il coro, diretto da Ciro Visco, e la scuola di canto corale del Teatro dell’Opera di Roma hanno offerto una prova mirabile nel Te Deum, dimostrando ricchezza espressiva e perfetta coesione.

Uno spettacolo gradevole e ben affrontato sotto tutti i punti di vista che potrà essere ammirato quest’anno ancora due volte: la prima dall’1 al 6 marzo (con la direzione di Daniel Oren), e quindi ancora dal 9 al 13 maggio (direttore in questa occasione James Conlon). E a chi dovesse chiedersi legittimamente se il ripresentare tre volte in un anno lo stesso allestimento (che tra l’altro viene riproposto a cadenza quasi annuale dal 2015) sia un po’ stucchevole, ci sentiamo di rispondere di no: ben vengano simili iniziative.

18 gennaio 2025 – Tosca – Teatro dell’Opera Roma

Melodramma in tre atti

Libretto di Giuseppe Giacosa Luigi Illica

Musica di Giacomo Puccini

CAST

Floria Tosca Saioa Hernández 

Mario Cavaradossi Gregory Kunde 

Barone Scarpia Gevorg Hakobyan 

Cesare Angelotti Luciano Leoni

Sagrestano Domenico Colaianni

Spoletta Saverio Fiore

Sciarrone Marco Severin

Un carceriere   Andrea Jin Chen

Un pastorello  Emma McAleese

 

Regia Alessandro Talevi

Direttore Francesco Ivan Ciampa

Maestro del Coro Ciro Visco
Scene Adolf Hohenstein
Ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein
Ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli

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Antonio De Benedittis

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