Opera Mundus

Venezia, Teatro La Fenice: Anna Bolena

Venezia, Teatro La Fenice Anna Bolena - recensione Opera Mundus - ph Michele Crosera
Venezia, Teatro La Fenice Anna Bolena - recensione Opera Mundus - ph Michele Crosera

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E’ la prestigiosa fusione di molti fattori (che chiameremo elementi) che rende straordinaria questa Anna Bolena di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani che il Teatro La Fenice ed il suo pubblico attendono dall’ultima rappresentazione veneziana avvenuta nel 1857 e, questo progetto, pur appartenendo dal punto di vista ideativo alla scorsa stagione organizzata dal già Direttore e Sovrintendente Fortunato Ortombina è, di fatto, l’occasione lirica per il battesimo d’ingresso al Teatro veneziano del neo insediato Sovrintendente Nicola Colabianchi.

Enrico VIII Tudor, 6 mogli dai tormentati destini nel nome della mancata progenie ma, come si sa, più dalla cupidigia verso queste e altre gonne. 3 figli legittimi e d’illegittimi perduto il conto. Per ragioni di Stato ma soprattutto per legittimare il suo letto, artefice dello scisma dalla  Chiesa di Roma e primo capo della Chiesa Anglicana. Ad Anna Bolena regina d’Inghilterra, secondo anello dopo Caterina d’Aragona, segue Jane (Giovanna) Seymour, dama di compagnia di Anna la quale nutre sentimento verso Enrico ma è combattuta dalla dedizione sincera verso la sua regina. Per poter sposare la Seymour,  il re trama e ordisce in modo da poterla accusare di tradimento e farla condannare a morte. Lo stesso destino subirà Rochefort il fratello della Bolena, Lord Riccardo Percy suo primo amore ed il paggio Smeton che di Anna è segretamente preso d’amore inconfessato. Questo spaccato storico in sinossi cattura Donizetti ed in collaborazione con Romani accetta di comporre la partitura e, pur con vari rimaneggiamenti nelle cadenze musicali e descrizioni d’azione, l’opera va in prima al Carcano di Milano il 26 dicembre del 1830 con la voce di Giuditta Pasta, soprano più acclamato dell’epoca. Anche Giuseppe Mazzini ne parla come una grande e sublime epopea nel suo saggio “Filosofia della musica” del 1831.

Affidati alla sapiente regia dell’infaticabile ed intellettuale nonagenario Pier Luigi Pizzi, che cura anche scene e costumi, elementi sono:

  • un rigoroso e severo allestimento quasi monocromatico di stilizzato richiamo gotico le cui scure navate si stagliano diventando di volta in volta ora Gabinetto del castello di Windsor, ora patio e giardino, appartamento reale, sala del Consiglio ed infine prigione e cella funesta della Torre di Londra;
  • tra le cangianti luci di scena tese ad esasperare ombre e chiaroscuri degli ambienti che si vogliono opprimenti (Oscar Frosio), elementi importanti sono anche i costumi che nelle curate e nobili fatture, preziosi tessuti e finiture mai eccessivi, richiamano a quell’inglese ambientazione della dinastia Tudor e del suo re e signore d’Irlanda che fu Enrico VIII – padre di Elisabetta I d’Inghilterra – le cui turbolente e drammatiche vicende di letto e di donne, nell’immaginario popolare, ebbero più ricordo delle vicende di regno che pur segnarono con pagine pesanti la storia, la politica e la Chiesa di quel cinquecentesco secolo e di quelli a venire;
  • fondamentale elemento è un cast davvero di tutto rispetto per una partitura drammatica così impegnativa e ricca di colori e contrasti eseguita in versione integrale, la quale deve ahimè – anche non volendo e non essendo corretto –  fare i conti con gli storici riferimenti musicologici alla versione donizettiana scaligera del ’57  diretta da Gavazzeni con la regia di Visconti e le voci protagoniste di Callas e Simionato;
  • contribuiscono al risultato gli elementi dell’ottimo Coro La Fenice diretti da Alfonso Caiani con prova di compattezza d’accademia. Nell’undicesima scena al “Chi può vederla a ciglio asciutto in tanto affanno, in tanto lutto, e non sentirsi spezzare il cor?” il lungo pianissimo delle damigelle di Anna che lasciano la prigione e che va a sfumare è pregevole e denso di giusto dolore.

Il colore orchestrale dell’Orchestra del Teatro La Fenice è buono, ricco di strumenti e di sonorità dialoganti con le esigenze della drammaturgia musicale, pur la bacchetta del Maestro Renato Balsadonna talvolta indugia e talora pecca d’enfasi esecutiva e crescendo più di richiamo rossiniano (dal quale la maturità di Donizetti si era sottratto) e che poco si attagliano con le scure tinte previste dal compositore bergamasco. Flauti, oboi, corni e corno inglese, sono da segnalare per la loro capacità espressiva nei dialoghi con Anna e con Percy, così come l’arpa del paggio Smeton.

Lidia Fridman è la protagonista Anna Bolena. La sua presenza scenica è statuaria, nobile e regale; l’incedere è elegante, la gestualità sobria e la naturale chioma fulva è perfetta per la sua collocazione di stirpe. A tutto questo è la sua agile voce che, per ampiezza ed estensione, per acuti svettanti e argentini, per colori dei centrali e sfumature dei recitativi, rendono appieno il dramma del personaggio e ne denotano la solida preparazione tecnica ed interpretativa di notevole spessore. Intensa la prova della Fridman nell’onirico vaneggiare di una Anna che Donizetti ben descrive anticipando la cantabile follia della sua Lammermoor che verrà.

In dodicesima scena “Al dolce guidami castel natio…” si avverte in sala una tangibile e struggente emozione: la  stessa emozione che avviene prima che la Fridman-Bolena svenga sullo straordinario filato finale “Coppia iniqua, l’estrema vendetta non impreco in quest’ora tremenda nel sepolcro che aperto m’aspetta….” dove a fatica si trattiene la standing ovation.

La scelta del registro vocale per il ruolo di Giovanna di Seymour ha spesso ondeggiato in altre edizioni tra mezzosoprano, previsto originariamente in partitura, o voce sopranile. In questa produzione si è scelta Carmela Remigio. Il soprano è adeguato per rotondità del suono, per pasta timbrica espressiva soprattutto nei gravi e le sue esperte agilità unite ad un fraseggio ben definito rendono interessanti e sostenuti i duetti sia con Anna che con Enrico. Molto ben costruita la tessitura drammatica nel secondo atto “Orrenda… estrema… gioia poss’io recarvi? Ah!… no… m’udite. Tali son trame ordite, che perduta voi siete.” e sempre di efficace interpretazione la prova attoriale che tormenta il conflitto passionale di Giovanna provato per Enrico ed il rispetto per la sua regina.

Il paggio Smeton è ben costruito sul belcanto del contralto Manuela Custer: la voce si erge chiara, esperta e raffinata esprimendo la sensibilità e le colorature nelle esigenze di prova sia soliste, come nella scena nona del Primo Atto “Ah! parea che per incanto rispondessi al tuo soffrir: ogni stilla del mio pianto risvegliava un tuo sospir…” o  nella quattordicesima del Secondo Atto “Io v’accusai credendo serbarvi in vita; ed a mentir mi spinse un insano desire, una speranza…” così nel necessario corpo dei duetti o concertati.

Alex Esposito (che la Fenice ha visto recentemente in Mefistofele) è Enrico VIII. Il basso si conferma di notevole spessore timbrico ed interpretativo e costruisce un personaggio potente, incisivo.  Il fraseggio è al tempo stesso regale e furioso, altero e vendicativo. Spinge con controllo sapiente i declamati, gli armonici hanno fibra, tenuta e ampio il volume che governa nella efficace prova d’attore. Tremano le ginocchia a tutti alle sue accuse “Che vedo, al mio sguardo appena il credo! Del suo fiero tradimento ecco il vero accusator.” o alle sue domande insidiose d’ingresso, quando scalzo e discinto in proterva virilità, annichilisce Anna col “Tremate voi?” 

Nella dichiarata difficile prova non convince Enea Scala in Lord Riccardo Percy. Va riconosciuta al tenore una gran forza esecutiva ed un impegnato sforzo interpretativo nell’adeguata fisicità del ruolo. Pur tuttavia il costante impeto emissivo ha asperità di tenuta in qualche nota acuta ed appiattisce le necessarie variabili sonore dei tanti stati d’animo di Percy. E’ generoso il timbro ma il costante ardore nei registri non addolcisce i piani nelle parti che il canto esige. Nel Secondo Atto, rivolto a Rochefort , il suo  “Vivi tu te ne scongiuro, tu men tristo e men dolente; cerca un suolo, in cui securo abbia asilo un innocente…” si fa apprezzare e recupera in bellezza.

Credibile e ben completato il cast di contorno sia per William Corrò (Lord Rochefort) e Luigi  Morassi (Hervey).

Nella proposta versione integrale l’opera dura quasi quattro ore, ma nell’ascolto del chiacchiericcio del pubblico in uscita, non è pesato ad alcuno tanta l’efficace presa operistica rappresentata. Tanto più che fuori dal teatro, l’ora legale permetteva ancora di godere di una Venezia da passeggiare.

6 aprile 2025 – Anna Bolena – Teatro La Fenice

Gaetano Donizetti

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

CAST

Enrico VIII, re d’Inghilterra Alex Esposito
Anna Bolena, sua moglie Lidia Fridman
Giovanna di Seymour Carmela Remigio
Lord Rochefort, fratello di Anna William Corrò
Lord Riccardo Percy Enea Scala
Smeton, paggio e musico della regina Manuela Custer
Sir Hervey, ufficiale del re Luigi Morassi

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore Renato Balsadonna
maestro del coro Alfonso Caiani
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
light designer Oscar Frosio

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Chiara Casarin

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