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Venezia, Teatro La Fenice: Les Dialogues des Carmélites

  • Venezia, Teatro La Fenice Les Dialogues des Carmélites - ph Michele Crosera - recensione Opera Mundus
  • Venezia, Teatro La Fenice Les Dialogues des Carmélites - ph Michele Crosera - recensione Opera Mundus

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Per Francis Poulenc fu molto tribolata la composizione de Les Dialogues del Carmélites: l’improvvisa scomparsa di molti intimi amici in giovane età, come Raymond Radiguet, Guillaume Apollinaire, Raymonde Linossier e quella in campo di concentramento di Max Jacob, lo portarono a legare la spinta creativa e vitale della sua musica alla sofferenza e alla morte. In questo senso, dal 1953 il compositore prese in considerazione il testo teatrale Les Dialogues des Carmélites di Georges Bernanos come possibile libretto d’opera. Anche se la parola “libretto” gli risultava riduttiva perché avrebbe piuttosto definito il suo progetto musicale una literaturopera, come avviene in ambito tedesco: un’opera su un testo letterario integrale e preesistente. Questo grazie anche al suggerimento di Guido Valcarenghi, direttore della Ricordi di Milano, che sollecitava Poulenc a comporre un’opera su commissione per il Teatro alla Scala. Il compositore aveva visto un paio di volte a teatro il dramma di Bernanos e, in una lettera dei suoi nutriti carteggi, focalizzò “d’aver trovato immediatamente, rileggendo il testo, la linea melodica“.

La piéce di Bernanos si basa sul racconto Die Letzte am Schafott (L’ultima al patibolo, 1931) della scrittrice tedesca Gertrud von Lefort e segue gli eventi realmente accaduti a sedici suore carmelitane condannate a morte e ghigliottinate durante la Rivoluzione francese. Dopo essere state bandite dal loro convento dalla Commissione di Compiègne, l’Assemblea Nazionale decretò che nessuna di loro poteva più perseguire la propria fede tanto che la Priora carmelitana propose alle consorelle di fare un atto di consacrazione basato sul voto di martirio. È documentato da fonti storiche che, alla Barrière du Trône di Parigi, ai nostri giorni Place de la Nation, le suore cantarono il Salve Regina nella loro salita al patibolo, baciando una statuetta della Madonna tenuta dalla loro Priora prima d’essere giustiziate. Appena qualche giorno dopo la loro esecuzione, anche Maximilien Robespierre fu ghigliottinato, segnando la fine del cruento periodo noto come Grande Terrore, una conferma per Poulenc che le loro morti fossero di natura sacrificale. Inoltre, la profonda fede cattolica del compositore accoglieva appieno i grandi temi di Bernanos: i concetti di paura e di libertà, di grazia e di salvezza, la natura complementare della vocazione religiosa e dell’onore, l’abbandono alla Divina Provvidenza, l’agonia di Cristo come agonia d’ogni cristiano di fronte alla morte. S’immerse quindi nell’Orfeo di Claudio Monteverdi, nelle opere di Giuseppe Verdi, di Modest Musorgskij, di Claude Debussy, prendendo nota di come il testo poteva essere trasformato nelle linee vocali dei diversi registri e convertito poi in espressiva prosodia. La composizione fu molto sofferta a causa del crollo della sua stabilità emotiva con ricovero in ospedale, anche a causa della grave malattia del compagno Lucien Roubert: fonte di sofferenza che servì d’ispirazione al tragico sviluppo drammaturgico delle Carmélites. Poulenc terminò la sua opera in tre atti nell’agosto del 1955, con la revisione della partitura in concomitanza con la morte di Roubert, avvenuta in ottobre. In un’accorata lettera scrisse: “La copia finale di Les Dialogues des Carmélites fu completata proprio nel momento in cui il mio povero Lucien esalò l’ultimo respiro. Mi alzai da tavola e dissi alla mia fedele Anna: “Ho finito: sento che morirà ora”. Chi saprà mai tutto ciò che si cela nel cuore segreto di certe opere?”.

Quest’opera che vede oggi sul podio della Fenice Frédéric Chaslin è stata co-prodotta con il Teatro Costanzi. È andata già in scena a Roma e teletrasmessa a fine 2022 con la direzione di Michele Mariotti e, grazie alla sempre benemerita RaiPlay, è possibile vederla integralmente in questa produzione.

La regia è stata affidata ad Emma Dante, con tutti i soliti limiti di qualità piuttosto discontinua, ma anche conferma dei potenti segni della sua peculiare poetica, sempre ben riconoscibili. Dalla Trilogia della Famiglia (mPalermu, Carnezzeria e Vita Mia) che ce l’ha fatta scoprire più di vent’anni fa fino ai due capolavori assoluti Le Sorelle Macaluso e Misericordia, il teatro di parola ci pare più congeniale alle sue visionarie spinte creative. Invece, la produzione cinematografica e la regia operistica ogni volta appaiono meno incisive, come se l’univocità della ripresa filmica e le rigide partiture musicali ponessero confini al suo libero volo inventivo. Dalla prima Carmen che inaugurò la stagione scaligera del 2009/2010 a questi Dialogues des Carmélites c’è sempre qualcosa d’accumulato senz’ordine e distinzione, quindi spesso non risolto in autentico respiro scenico. Forse perché si ha nella testa l’affabulato rigore dell’inarrivabile regia scaligera di Robert Carsen del 2000, con la direzione da Riccardo Muti. Oppure perché nell’estreme varietà tematiche dell’opera funziona meno l’annegamento inquietante della scena nel più buio e funebre barocco siciliano. All’inizio, questo buio avvolge il salone del palazzo della protagonista, la giovane Blanche de la Force, e cornici d’oro con riproduzioni di famose dame della haute société francese ritratte da Jacques-Louis David delimitano lo spazio. Poi, le cornici si svuotano di queste bellezze d’Ancien Régime e vengono trasformate in severe porte di celle monastiche. Nella famosa scena finale del patibolo, le cornici scontornano ogni singola carmelitana con tanto di caduta “a ghigliottina” di un tessuto candidissimo che sembra annullare il ricordo degli iniziali ritratti femminili di David, riportando ogni dipinto all’originale tela bianca prima d’essere dipinta. Il profondo sodalizio della regista con l’attore e scenografo Carmine Maringola, che ha curato le scene dello spettacolo, s’è dimostrato ancora una volta immaginifico nell’ideazione di originali quinte teatrali come la splendida grata a traforo che segna l’impenetrabilità della clausura o il monumentale quanto sinistro mobile-reliquiario a ripiani che ospita, su ogni mensola, un teschio. Anche i bei costumi di Vanessa Sannino rimarcano la lettura dell’opera fatta dalla regista, come quelli delle carmelitane in rigidi pettorali d’acciaio ed elmetti metallici che nella parte posteriore si aprono inevitabilmente ad aureola, come si conviene a vere amazzoni della fede. Il light designer Cristian Zucaro e l’autore dei movimenti coreografici Sandro Maria Campagna hanno contribuito all’attualissima lettura registica di Emma Dante, che evidenzia lo slancio tutto femminile verso la libertà di scegliere della propria vita, del consapevole essere padrone di sé al di là del destino assegnato. Partendo dalla loro fede incrollabile, ecco il sacrificio di un gruppo di suore di quasi due secoli e mezzo fa: da sola, nessuna di loro ci sarebbe mai riuscita ma ognuna alla fine ne sarà all’altezza grazie all’imbattibile potenza d’un mondo fondato intimamente sulla sorellanza, sulla comune condivisione delle sofferenze d’ogni relazione umana e sociale in cui le donne vengono messe ai margini, sulla lotta contro le sottili o esplicite violenze attraverso le quali finiscono per essere ricondotte nei rigidi ruoli prestabiliti.

L’orchestra della Fenice ha dato il suo massimo (a parte qualche stonatura degli ottoni, comunque perdonabile) soprattutto grazie alla direzione analitica di Frédéric Chaslin che ha messo in risalto i temi musicali portanti dell’opera: da un lato la paura, l’ansia, il panico nei confronti della morte; dall’altro la discesa della grazia divina e il sacrificio vicario inteso come dono della propria vita per un altro. Paura e panico musicalmente evidenziati fin dall’inizio nel dialogo fra Blanche e suo padre Marquis de la Force e, dopo, nella crescente violenza della Rivoluzione che spinge Blanche a fuggire dal convento in un completo abbandono alle sue paure, al suo senso d’inadeguatezza, sopraffatta dal disprezzo verso se stessa. Si sente indegna della sua nobile nascita e dell’onore, si vergogna della sua sofferenza: ” Io sono nata nella paura. Ci sono vissuta dentro, ci vivo ancora, tutti disprezzano la paura. È dunque giusto ch’io viva anche nel disprezzo“. Dubbio e angoscia contagiano Blanche come una malattia debilitante che, alla fine, riuscirà a sconfiggere solo con l’aiuto della grazia divina. Il direttore Frédéric Chaslin conosce bene le intense composizioni sacre di Poulenc e, grazie anche agli interventi del coro della Fenice molto ben preparato da Alfonso Caiani, sa individuare in sapiente e stretta intesa con l’orchestra che è proprio il sofferto percorso esistenziale di Blanche a rendere Les Dialogues des Carmélites così toccante. In questo senso, la sua interpretazione della partitura sembra più attenta alla dimensione psicologica che a quella religiosa o politica. C’è infatti grande concentrazione emotiva nel Salve Regina finale: le carmelitane vanno alla ghigliottina una ad una portando a compimento il voto di martirio a colpi secchi di lama e l’intensità dell’inno s’affievolisce progressivamente con la morte di ciascuna di loro. Blanche, sconfitta misticamente ogni paura, non sale sul patibolo ma appare all’improvviso crocifissa in alto (Emma Dante fecit) senza proseguire nel Salve Regina, ma intonando i versi conclusivi del Veni Creator Spiritus che si spegne nell’in sæcula sæculorum, “per i secoli dei secoli” senza l’amen finale, poiché la lama cade troppo presto. Con la sua morte, la giovane “ultima del patibolo” è stata riaccolta nella comunità delle sorelle e la sua paura s’è trasformata in mediatrice della Grazia. Anzi è Grazia essa stessa, perché ciò che la rassicura non è la Fede, ma l’Amore.

Julie Cherrier-Hoffmann ha sostenuto il ruolo di Blanche de La Force e, in complicità tutta francese con Frédéric Chaslin direttore, ha già avuto modo di cantare un paio di mesi fa, nella stagione sinfonica del Teatro Comunale di Bologna, le chansons raffinate di Francis Poulenc de Les chemins de l’amour e delle Fiançailles pour rire, come una specie di “rodaggio” all’approdo molto più complesso del ruolo protagonistico di Blanche. Presenza drammatica d’un certo rilievo e bel timbro di voce ma debole di volume, soprattutto nel primo atto faceva fatica ad arrivare oltre le prime dieci fila di platea. Una certa delusione per lo spettatore che finalmente avrebbe potuto ascoltare nella dizione a melologo un autentico soprano francese nel suono prezioso di tutte le diciannove vocali della sua lingua, compresa la perfetta pronuncia delle quattro nasali sempre così faticata nelle precedenti Blanche che non sono nate in terra gallica.

La Priora del Carmelo Madame de Croissy è stata interpretata da Anna Caterina Antonacci, l’unica dell’intero cast presente anche nell’edizione romana del 2022. Con la musica di Francis Poulenc ha grande familiarità, tanto che si può con cognizione di causa affermare che nessuna oggi riesce ad eguagliarla nel suo ampio spettro di colore vocale e di sensibilità drammatica nel ruolo della straziata donna al telefono de La Voix Humaine. Anche in questo Les Dialogues des Carmélites la sua interpretazione è da brivido: nell’intensa e spaventosa scena della morte della Priora del Carmelo alla fine del primo atto, la sensazione d’angoscia è accentuata dal Chaslin attraverso gli archi che si dissolvono cromaticamente con propagazione di dissonanze che rendono sempre più drammatica l’insopportabile agonia. L’Antonacci implora agitatissima un’altra dose della medicina che l’aveva precedentemente fatta stare meglio e, quando le viene negata, perde il controllo di sé: rinuncia a Dio in un ritmato arioso con l’iterazione del tema della paura su uno scarno accompagnamento dell’orchestra. Lo straziante panico del dover morire non può che farla esplodere in parole blasfeme, gettate con rabbia sulle consorelle terrorizzate: ”Che cosa sono mai in quest’ora, io miserabile, per preoccuparmi di Lui? Sia lui piuttosto a preoccuparsi di me! (…) Oh! Dio ci abbandona! Dio ci ripudia!.

La migliore del cast, insieme a Anna Caterina Antonacci, è stata il mezzosoprano Deniz Uzun nel ruolo di Mère Marie de l’Incarnation. Una magnetica presenza scenica e una voce scura e vellutata che raggiungono il vertice nella sua compostezza durante il trapasso spasmodico di Madame de Croissy, quando cerca d’infondere calma alle suore spaventate dagli accenti blasfemi della morente, oppure nelle dignitose e ferme parole rivolte ai due Commissari che le comunicano il decreto rivoluzionario della chiusura del convento: con connaturata sprezzatura, all’ingiunzione di disfarsi delle tuniche monastiche definite “stracci”, risponde con misurata calma: “Potrei rispondervi che non è l’uniforme a fare il soldato (…). Il popolo ha un gran bisogno di màrtiri, e questo è un servizio che possiamo rendere. (…) Vivere non è niente, quando la vita è svalutata sino al ridicolo, e non vale più dei vostri decreti”.

Soeur Constance de Saint-Denis è Veronica Marini, ruolo complesso e contraltare a quello di Blanche: accumunate dalla giovinezza, se quest’ultima però vive nella paura, Costance aderisce alla vita con infantile spensieratezza. Nella comporre la sua parte, Francis Poulenc ne sottolinea in partitura quell’agogica del giocoso e del gaio a ritmo sincopato, talvolta espressivamente fuori tempo, che genera vivace energia, ben esaltato nella linea di canto sopranile. La Marini ha una voce molto aspra in acuto e talvolta con qualche difficoltà nel controllo dell’emissione ma il physique du rôle è perfetto per la paciosa restituzione dell’unico personaggio fra le consorelle che ha tutti gli slanci verso l’incanto della vita. Nel fosco rigore religioso del convento, come non si fa a sorridere alle sue lamentazioni nel mangiare tutti i giorni soltanto fave, oppure quando ricorda che, appena poche settimane prima del suo ingresso in convento, aveva festeggiato il matrimonio del fratello maggiore banchettando e ballando con gli abitanti del villaggio…

Madame Lidoine, la nuova Priora, è il classico ruolo che in molte opere non vede sempre in scena chi canta ma ha cruciali apparizioni che favoriscono lo sviluppo drammaturgico della storia. Vocalmente accettabile è la nuova Priora di Vanessa Goikoetxea che dimostra protagonismo scenico nelle tre temibili come declamato e accorate esortazioni d’incoraggiamento alle consorelle in vari momenti del secondo e terzo atto: “Mie care figlie, devo ancora dirvi che ci troviamo private della nostra compianta Madre…”;  “Figlie mie, ecco conclusa la nostra prima notte in prigione…”;  “Figlie mie, ho desiderato con tutto il cuore di salvarvi…”.

Mère Jeanne è stata interpretata da Valeria Girardello, mentre Soeur Mathilde da Loriana Castellano. Entrambe hanno affrontato questi due ruoli con una buona resa vocale e un’intensa partecipazione emotiva.

Sia Armando Noguera, Marchese de La Force e padre di Blanche che Juan Francisco Gatell, suo fratello il Cavaliere, hanno delineato due personaggi dalla rilevante presenza scenica e dal solido declamato. Nella conversazione nel parlatorio del monastero, il Cavaliere cerca di convincere la sorella a tornare a casa perché i furori rivoluzionari non rendono il convento un rifugio sicuro: “Bisogna saper rischiare la paura come si rischia la morte, il vero coraggio sta proprio in questo rischio”. Fermamente decisa a rimanere nel Carmelo, la risposta di Blanche è repentina: “(…) Vorrei chiedervi di pensarmi come a un compagno di lotta, perché andiamo a combattere ognuno alla sua maniera, e la mia ha i suoi rischi e i suoi pericoli come la vostra”.

Una buona interpretazione vocale e scenica da parte del cappellano del monastero delle Carmelitane: Jean-François Novelli; dell’Ufficiale: Gianfranco Montresor; del primo commissario: Marcello Nardis. E nel quadruplice ruolo di secondo commissario / medico Javelinot / carceriere / Thierry: Francesco Paolo Vultaggio.

Teatro La Fenice | Dialogues des Carmélites | 20 giugno 2025

Opera in tre atti e dodici quadri

Musica e libretto di Francis Poulenc

dall’omonimo testo di Georges Bernanos

Il dramma è ispirato a un racconto di Gertrude Von Le Fort

 

Prima rappresentazione assoluta:

Teatro alla Scala, Milano 26 gennaio 1957 (in lingua italiana)

 editore proprietario Casa Ricordi, Milano

CAST

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

Maestro concertatore e direttore: Frédéric Chaslin

Maestro del Coro: Alfonso Caiani

 

Regia: Emma Dante

Scene: Carmine Maringola

Costumi: Vanessa Sannino

Light designer: Cristian Zucaro

Movimenti coreografici: Sandro Maria Campagna

 

Le Marquis de La Force: Armando Noguera

Blanche, sa fille: Julie Cherrier-Hoffmann

Le Chevalier, son fils: Juan Francisco Gatell

Madame de Croissy, la Prieure du Carmel: Anna Caterina Antonacci

Madame Lidoine, la nouvelle Prieure: Vanessa Goikoetxea

Mère Marie de l’Incarnation: Deniz Uzun

Soeur Constance de Saint-Denis: Veronica Marini

Mère Jeanne de l’Enfant Jésus: Valeria Girardello

Soeur Mathilde: Loriana Castellano

L’Aumônier du Carmel: Jean-François Novelli

Officier: Gianfranco Montresor

I Commissaire: Marcello Nardis

Le Geôlier / Thierry / II Commissaire

 Monsieur Javelinot: Francesco Paolo Vultaggio

 

 Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

 in coproduzione con Fondazione Teatro dell’Opera di Roma

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Emilio Pappini

Vive e lavora a Milano e Trieste e si occupa di Storia dell’arte. È laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Genova e specializzato in Storia del Teatro all’Università Cattolica di Milano con una tesi pubblicata sul rapporto tra opera lirica e televisione: L’opera lirica nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (Vita e Pensiero ed.) Ha pubblicato Nascita e metamorfosi del melodramma nella TV italiana (in Le sigle televisive, Eri ed. RAI-TV). Grande appassionato di opera lirica, scaligero da sempre, ha collaborato con la rivista L’Opera e ha presentato a Radio Popolare profili di grandi cantanti del Novecento.

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