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Intervista: Carlo Lepore, oltre il buffo

Intervista Carlo Lepore, oltre il buffo - Opera Mundus
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In occasione dell’allestimento di Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti, al Teatro dell’Opera di Roma, ho avuto il piacere di poter fare qualche domanda al Maestro Carlo Lepore.

Immagino che questa produzione sia stata una bella emozione!

Si, è una produzione di lodevole impatto secondo me. Ha delle figurazioni, delle immagini forti e sinceramente è anche un’opera da cui emergono sentimenti piuttosto accesi: la vendetta, la gelosia… si uccidono le persone, muoiono, si salvano. Ci sono avvenimenti all’interno della trama molto intriganti. Poi c’è la musica di Donizetti che fa la sua parte, ovviamente.

Direi che non è un elemento non indifferente….

No, assolutamente anche perché Donizetti ha scritto tantissime opere, però alla fine il grande pubblico ne conosce pochissime. E’ ancora un compositore che ci lascia curiosità, soprattutto per quanto riguarda il repertorio più serio di quel periodo.

Certo, infatti solitamente vanno in scena più o meno sempre le solite, difficilmente ne vengono rappresentate di nuove o meno conosciute. E quando capita di poterle vedere e non solo studiarle magari sui libri di storia della musica, è bellissimo.

“ Sicuramente, per noi cantanti è proprio quello: curiosità! Curiosità di studiare e di vedere qualcosa di nuovo, mai visto prima. ”

Qualche ruolo che ti dia anche una vocalità diversa rispetto quelle affrontate finora.

 

Proprio affrontando l’argomento “studio”, so che lei non si è buttato subito nella lirica ma inizialmente aveva preso una strada differente.

Cosa l’ha spinta successivamente ad intraprendere questo percorso?

Ma in realtà la passione per la musica c’è sempre stata, anche nella mia famiglia. I miei mi portavano a vedere l’opera, e questo mi suscitò grande curiosità, anche se ho cominciato a studiare seriamente intorno ai diciannove anni, anche perché la voce del basso non matura prima di quel periodo, quindi è difficile appassionarsi ad un genere lontano da quello che è il proprio sentire. Suonavo anche la chitarra, avevo delle passioni musicali ma non per la lirica, che poi è nata man mano. Ho fatto il mio primo ingresso in un teatro nel 1992, prima nel coro e poi come Don Basilio.

Ah che meraviglia! Quindi possiamo dire che il teatro, la musica è sempre stata dentro di lei in qualche modo.

Si, si assolutamente.

La sua carriera indubbiamente la precede! Ha avuto l’opportunità di poter studiare con grandi maestri come Paolo Montarsolo, Alberto Zedda, tanto per citarne qualcuno.

Ha qualche insegnamento che porta ancora oggi con sé?

Certo, ci sono tantissime cose che mi restano ancora di loro, soprattutto che mi accompagnano ogni volta che salgo sul palcoscenico. Inizialmente ho studiato con Alessandra Gonzaga, una mia carissima amica e insegnante che mi ha dato la tecnica; poi ho studiato con Paolo Montarsolo che ho conosciuto all’Accademia di Mantova, quella che teneva Katia Ricciarelli, e lui era uno degli insegnanti che al tempo allestiva La Cenerentola. Io mi ricordo che per l’audizione portai Alidoro e Colline di La Bohème e alla fine fui scelto per fare Don Magnifico, un personaggio che non conoscevo e che studiai per la prima volta li con lui, nota per nota. Chiaramente a lui devo il modo di studiare, con tutte le indicazioni sceniche, tecniche e vocali. Penso che sia una persona che mi ha regalato tanto e tutt’ora mi reputo fortunato ad averlo avuto come maestro; tra l’altro quest’anno ricorrono cento anni dalla sua nascita e per questa occasione faremo un concerto a Santa Cecilia per omaggiarlo e incideremo un Cd di Il Campanello di Donizetti, altra opera poco esibita, anche se molto più conosciuta di questa.

Si, indubbiamente sono figure importanti per e nella carriera di ogni artista e se uno ha la fortuna di poterle avere nel proprio percorso di studi, di vita, è sicuramente un valore che fa la differenza e che lascia un’impronta indelebile che rimane.

Anche con Zedda, che mi ha fatto conoscere Rossini. Da allievo dell’Accademia rossiniana studiare con lui, essere diretto da lui come in La Scala di Seta a Berlino e nel ruolo di Don Profondo in Il viaggio a Reims, che mi porto dietro da una vita (più di quattordici recite), mi ha dato modo di appassionarmi di questo compositore e non solo. 

Lui mi ha aperto un mondo. L’idea delle variazioni, delle cadenze, della fantasia che si può mettere all’interno di una struttura ben organizzata, pensata, scritta. In particolare ci tengo a ricordare questo episodio, durante l’allestimento di Armida, nella parte del diavolo Astarotte oppure in quello di Idraote, lui entrò nel camerino e io avevo queste due grandissime ali nere, che mi facevano sembrare un pipistrello. Lui si avvicinò e mi disse:

” Carlo, fai volare alto quelle ali”. Lui sapeva che era un ruolo diverso da quello che aveva sempre sentito da me. “

Era uno dei primi personaggi che interpretavo, da cui usciva lo stile di Rossini serio, quindi una caratteristica diversa dal buffo, perché Rossini è sempre Rossini: quando è buffo, prevede prevalentemente uno stile sillabato, inteso come veloce articolazione delle parole, mentre in quello serio, prevede una cantabilità diversa, le agilità ci sono ma espresse all’interno di una linea vocale che esalta il colore della voce.

Era uno dei primi personaggi che interpretavo, da cui usciva lo stile di Rossini serio, quindi una caratteristica diversa dal buffo, perché Rossini è sempre Rossini: quando è buffo, prevede prevalentemente uno stile sillabato, inteso come veloce articolazione delle parole, mentre in quello serio, prevede una cantabilità diversa, le agilità ci sono ma espresse all’interno di una linea vocale che esalta il colore della voce.

Sicuramente attraverso la sua voce ha avuto modo di poter interpretare ruoli differenti tra di loro,

Che siano comici o drammatici, ogni ruolo credo che nasconda una natura più profonda di quella che spesso vediamo in scena, durante lo studio quali sono gli aspetti psicologici ed emotivi che cerca di evidenziare? 

Beh, dallo studio indubbiamente emergono delle cose in più, però lo stilema è quello. Nell’opera comica ad esempio si pensa che l’obiettivo sia quello di far ridere, in realtà si nasconde molta serietà. Tempo fa pubblicai un disco che si chiama “Non solo buffo” proprio per intendere questo, ovvero

” … che il comico per poter far ridere non deve fare il clown ma piuttosto che creda veramente in ciò che sta facendo. “

In Rossini, ad esempio basti pensare a Bartolo con Rosina, questo tipo di personaggi sono tutto meno che comici, di forte impatto e devono quasi inorridire il pubblico. Ci sono anche delle analogie con il personaggio che sto interpretando adesso, come la cattiveria, la vendetta e tutti sentimenti che alla fine puoi esprimere in un solo modo, difficilmente ne troverai delle letture diverse. Serve quindi la convinzione di non dover far ridere ma di comunicare quello che lo spettacolo è!

Quindi in qualche modo la comicità è soltanto una faccia del personaggio ma non è tutto!

Si, citando La Cenerentola, sicuramente ci sono altri momenti dove c’è il sillabato e il personaggio diventa in qualche modo simpatico ma l’indole non lo è.

Certo, a volte nascondono molto di più.

 

Parlando di altro, in una sua vecchia intervista ha espresso l’importanza della recitazione, lo sosteneva addirittura Wagner con l’espressione “opera d’arte totale”, l’opera è l’unione di più arti, parola, musica e azione scenica.

Come si prepara da questo punto di vista? Ha fatto degli studi o ha imparato facendolo?

Diciamo che è importantissimo avere il libretto e le parole, che funzionino anche senza la musica. Questo aiuta moltissimo! Lo stesso Donizetti ci ha lasciato scritto che “l’Opera è teatro intonato” quindi la cosa più importante è che si capiscano le parole. Non è una cosa da sottovalutare. Le parole, il testo è l’elemento principale.

Oggi abbiamo i sottotitoli, una volta non c’erano quindi la parola aveva un significato ancora più importante.

Quindi ha imparato facendolo…

Si, facendolo ma anche studiando con un grande riparatore come Joe Giardina. Mi diceva sempre che prima deve funzionare il parlato, il recitato, poi dopo si aggiunge la musica e si capisce in che modo rendergli giustizia ma partendo sempre prima dal testo.

L’opera è l’insieme di più elementi, a noi cantanti vengono richieste tante cose…di seguire il maestro, la regia, etc. 

Non puoi inventarti il personaggio che vuoi tu! Prima deve essere pensato e poi realizzato per come ti viene chiesto.

 

Ha mai ricevuto una domanda “strana” da fan, amici o parenti riguardo la sua professione di cantante lirico?

Mah, in questo momento non ne ricordo una in particolare ma indubbiamente una di default come: “Cosa fai nella vita a parte il canto?”. Si pensa sempre che cantare sia semplice, invece è un compito abbastanza faticoso, è un percorso fatto di sacrifici, soprattutto personali, non indifferenti. Mettere su un’opera richiede tempo, circa sei mesi bisogna cominciare a studiare e poi, tra i trenta e sessanta giorni, per ogni produzione si lavora intensamente in teatro tra prove di regia, musicali con il maestro e infine, insieme con l’orchestra.

 

Proprio questo stare lontano da casa per mesi, l’ha portata a esibirsi su palcoscenici e teatri internazionali, come il Teatro Colón di Buenos Aires o l’Opéra National de Paris.

Ha mai notato delle differenze tra il pubblico estero e quello italiano?

Differenze non tanto, il pubblico gradisce quando lo spettacolo funziona. Forse in Italia c’è più coscienza della lingua e questo facilità anche la comprensione del messaggio che si vuole mandare. Per il resto, abbiamo sempre avuto un pubblico bene o male internazionale e attento in tutto il mondo, soprattutto nei teatri più conosciuti e importanti. Può capitare a volte, mi ricordo di Londra, che durante Le Nozze di Figaro il pubblico rise nel finale, quando invece di per se segna un momento tragico e di tensione. In Inghilterra ridono, penso che stia tutto in come traducono il testo dei sottotitoli.

 

Ha invece degli hobby o passioni al di fuori della lirica?

Si certo, mi interessano vari tipi di musica a livello personale e non di studio come il Jazz. Ho una bella collezione di CD, perché quando viaggiavo mi piaceva raccogliere vari pezzi di ogni posto in cui andavo e riportarlo a casa o portarlo con me ovunque andassi.

 

E’ bellissimo avere delle collezioni di questo genere, purtroppo al giorno d’oggi non vanno più tanto di moda.

Le è mai capitato di canticchiare una canzone che passava alla radio o che semplicemente ascoltava in versione lirica?

No, vabbè questo no. Mi piace molto il cinema, soprattutto quello in bianco e nero, quello di una volta insomma. Credo che sia fonte di ispirazione, che il cinema di un tempo porti con sé molto da cui attingere.

Invece, nei suoi progetti futuri c’è un ruolo in cui vorrebbe debuttare?

Mah, il ruolo in cui mi piacerebbe debuttare è sempre il prossimo! Ne ho già interpretati più di ottanta e non sono pochi. Uno dei primi che volevo fare era Don Carlo, l’ho replicato per ben otto recite nel circuito lombardo ed è stata una grande emozione. 

Ruoli che ho già fatto, che rifarei e che ancora aspetto di fare come in Rossini serio un Assur. Ma qualsiasi ruolo interpretassi ho fatto sempre me stesso.

Indubbiamente c’è sempre una parte di noi in quello che si fa…

Infine, mi piacerebbe chiederle se ha un consiglio che le andrebbe di condividere con un giovane talento che vuole intraprendere questa carriera.

Consigli che si possono dare così durante un’intervista è difficile, perché ognuno deve fare il suo percorso individuale. I giovani talenti vanno seguiti e ci vogliono molti anni per fare esperienza. Uno di quelli che mi sento di condividere forse è quello di avere una tecnica ben solida e di studiare sempre con massima attenzione per quello che ha scritto il compositore. 

“ Nello spartito c’è scritto tutto quello che c’è da sapere, basta leggerlo con intelligenza e amore. ”

Bene, ce lo dedica un saluto a tutti coloro che ci seguono su Opera Mundus?

Senz’altro, vi saluto con simpatia e inizierò a seguirvi anche io su Opera Mundus!

Greta Leone

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